L'amore bisogno

Tutte le sere, intorno alle dieci, Davide si infilava nel letto con il peso di un'ansia indecifrabile che si stendeva accanto a lui come una creatura informe e gli faceva compagnia fino al risveglio.
Quella volta, però, un motivo c'era: il messaggio di buonanotte di Anna non era arrivato.
Davide controllava il telefono ogni minuto, come se il display potesse illuminarsi di colpo e salvarlo dall'attesa. E ogni minuto che passava gli sembrava una condanna.
Poi iniziò a chiamarla ripetutamente.
Nessuna risposta.
Il pensiero che Anna potesse fare qualcosa senza di lui lo faceva impazzire, e perciò costruiva scenari sempre più drammatici: Anna con un altro uomo, Anna che decideva di lasciarlo, Anna che dimenticava quanto lui fosse importante. Si girava e rigirava nel letto, incapace di scacciare quelle immagini.
In realtà, Anna non aveva dimenticato. Era seduta sul divano di casa e guardava il telefono illuminarsi a intermittenza, con il nome di Davide che appariva sullo schermo come un'accusa. Ma era stanca. Stanca delle sue continue richieste di attenzione, dei suoi messaggi senza tregua, delle scenate di gelosia che scattavano per un "mi piace" su Facebook. Davide non riusciva a rendersene conto, ma il suo amore non era più amore: era un bisogno disperato, un abbraccio soffocante da cui Anna sentiva di dovere fuggire.
Il mattino seguente, Davide decise che non poteva aspettare oltre. Si presentò a casa di lei e bussò con insistenza, come se la forza dei suoi colpi potesse aprire la porta più velocemente.
"Amore mio, sei in casa? Stai bene? Perché non ti sei fatta sentire? Mi fai preoccupare!"
Quando Anna aprì, era visibilmente stanca. Aveva il viso pallido e i capelli raccolti in un nodo disordinato.
"Davide, cosa stai facendo qui?" chiese, con un tono tra l'esausto e il seccato.
"Non mi rispondevi. Ho passato tutta la notte a chiedermi cosa stesse succedendo. Perché non mi hai scritto?"
Anna lo guardò in silenzio, come se cercasse le parole giuste. Poi sospirò e gli fece cenno di entrare.
"Davide, dobbiamo parlare".
Si sedettero sul divano. Lui la fissava, cercando di interpretare ogni minimo gesto.
Disse: "Ora che ti ho vista e stai bene, io sono più tranquillo".
Anna strinse i pugni, come per darsi forza.
"Davide, non possiamo continuare così. Io voglio un amore che mi dia respiro. Voglio stare con te perché lo scelgo, non perché mi sento costretta"
Quelle parole trafissero Davide come una lama. Era come se improvvisamente il suo mondo si sgretolasse. Tentò di giustificarsi, di promettere che sarebbe cambiato, ma dentro di lui sapeva di non farcela. Il suo modo di volerle bene non era amore ma paura, un'invincibile paura di restare solo, di non essere abbastanza, di affrontare quel vuoto che lo divorava dall'interno.
Quando Anna chiuse la porta, Davide sentì il peso della solitudine come mai prima.
Disteso sul letto, passò ore a guardare il soffitto, ripercorrendo ogni momento del loro rapporto, ogni parola detta, ogni gesto fatto. Si rese conto che Anna non poteva essere uno strumento per colmare il suo vuoto. Quel lavoro spettava a lui.
Nei giorni successivi, iniziò un percorso di introspezione. Decise di parlare con uno psicologo e affrontare quelle insicurezze che lo avevano portato a dipendere così tanto da Anna.
Durante la prima seduta, le parole gli uscirono come un torrente. Parlò delle sue paure, della sensazione di non essere mai abbastanza, di quella morsa che lo stringeva ogni volta che qualcuno si allontanava da lui. Ogni seduta era una sfida, un confronto con parti di sé che aveva evitato per anni. Passo dopo passo, iniziò a capire che l'amore non è un salvagente a cui aggrapparsi per non affondare, ma una scelta libera e consapevole.
Mesi dopo, Davide si era trasformato. Non del tutto, ma abbastanza da percepire il cambiamento. Una mattina, mentre passeggiava per il centro città, incrociò Anna per caso. Lei lo vide e sorrise. Lui ricambiò, un sorriso semplice, privo di quella tensione che lo aveva accompagnato per anni.
"Ciao, Davide," disse lei, avvicinandosi. "Come stai?"
"Sto bene, grazie. E tu?"
Lei annuì. Non parlarono molto, qualche parola sui rispettivi lavori, sui progetti futuri. Ma c'era qualcosa di diverso. Una leggerezza, un rispetto per gli spazi dell'altro che non avevano mai avuto prima. Quando si lasciarono, con un cenno e la promessa informale di rivedersi, Davide non sentì quel buco d'aria nel fondo del petto che lo accompagnava da sempre nei momenti di distacco. E mentre lei si allontanava, con un sorriso che portava con sé la promessa di un domani, Davide si sentì per la prima volta davvero libero, come se l'amore lo avesse ritrovato e finalmente lasciato intero.


L'amore-bisogno è come un barbone che si attacca a te alla fermata dell'autobus. Non è lì perché gli piaci, non è lì perché vuole parlare di Schopenhauer con te. È lì perché ha freddo, ha fame, ha bisogno di qualcosa per tappare il buco. E tu sei il tappo.
Questa roba è veleno puro, perché ha la faccia dell'amore ma l'anima di un tossico in crisi d'astinenza. Si presenta con mazzi di fiori e messaggi dolci, ma dietro c'è un disperato che sventola il cartello "senza di te non sono niente". E a qualcuno può pure sembrare romantico, perché Hollywood ci ha riempito la testa di queste cavolate: Se mi lasci muoio!... Ma davvero? Senti, se per stare in piedi hai bisogno di un'altra persona come una stampella, allora il problema non è l'amore, è che le tue gambe non funzionano.
E così si finisce in un giro di controllo, gelosia, ansia, scenate da soap opera. Uno che chiede rassicurazioni ogni cinque minuti e l'altro che cerca di respirare ma non può, perché ogni boccata d'aria è interpretata come un tradimento. E tutto questo teatrino perché? Perché nessuno ha voglia di guardarsi dentro e dire: "Oh, magari ho un problema da risolvere prima di buttarmi a capofitto in una relazione!"
Ma il brutto dell'amore-bisogno è che è subdolo. Ti fa credere che tutto questo sia normale, che anzi, sia la prova di un grande amore. "Lui non può vivere senza di me!" — frase che sembra uscita dal diario di un'adolescente invasata, ma che purtroppo tanti adulti prendono ancora sul serio. Ti senti importante, certo. Sei la badante emotiva di qualcuno, che lusso! Peccato che dopo un po' non sia più lusinghiero, diventi solo opprimente.
L'unico modo per uscire da questo circo è fare un check-up emotivo, guardarsi allo specchio e ammettere: "Forse sto cercando qualcuno che mi aggiusti invece di aggiustarmi da solo." Ma questo implica fatica, implica magari farsi un giro dallo strizzacervelli, e sai che noia... Meglio continuare a incatenarsi a qualcuno e chiamarlo amore.
L'amore vero, quello sano, non è un cappio. Non è bisogno, è scelta. È stare con qualcuno perché lo vuoi, non perché senza di lui ti senti come un junkie senza dose. Ma per arrivarci, prima devi mollare l'idea che l'altra persona sia il tuo salvagente. Perché, spoiler: se non sai nuotare da solo, prima o poi anneghi comunque.