GASLIGHTING

Hai presente quando entri in un bar e sei convinto di aver detto "Un caffè, grazie", ma il tizio dietro il bancone giura di averti sentito chiedere un frappè al pomodoro e te lo serve pure con quell'aria come a dire "Sei tu che sei fuori"? Ecco, più o meno siamo su quella linea di follia quando parliamo di gaslighting. In origine viene da una vecchia pièce teatrale, "Gas Light" di Hamilton, ma potremmo anche dire che è il gemello cattivo di un prestigiatore: mentre tu guardi la colomba che vola, lui ti fa sparire l'autostima. È una forma di manipolazione parecchio subdola, perché ti passa sotto il naso vestita da normalità. Ti scordi le chiavi? Sei stressato. Ti rovesci il tè? Sei sempre troppo distratto. E pian piano inizi a pensare di essere davvero un eterno pasticcione, non perché lo sei, ma perché qualcuno si diverte a riscrivere i fatti sotto il tuo naso.

L'accademia ci dice che la caratteristica centrale del gaslighting consiste nello spingere la vittima a dubitare di se stessa. Lì per lì uno dice: "Ma come, dubitare di me stesso? Io so chi sono". Certo, fino a quando la persona che hai accanto non si mette a negare qualsiasi evidenza, cancellando ricordi come fossero macchie sul pavimento. E la parte davvero da "colpo di scena" è la tecnica del bastone e della carota. Da un lato, "No, tesoro, ti assicuro che non è successo niente", mentre dall'altro ti concedono quelle briciole di affetto che ti fanno pensare: "Forse ha ragione lui, magari ho esagerato io". Ed ecco che i conti non tornano più e tu ti senti come a uno spettacolo di magia mal riuscito, dove l'unico che non ride sei tu.

Laddove la manipolazione si protragga a lungo, preparati a passare delle belle serate sul divano a rileggere mentalmente le tue giornate per capire se stai impazzendo o se qualcuno ti sta prendendo sonoramente in giro. Il bello – si fa per dire – è che a un certo punto ti convinci davvero di essere tu il problema, perché più ti senti spaesato, più ti isoli. È lì che l'abuso emotivo fa i fuochi d'artificio, insinuandosi come un tarlo. Alcuni finiscono con l'avere sintomi d'ansia, disturbi dell'umore, un bel cocktail di stress e sensi di colpa, e nel frattempo il manipolatore se la ride, perché più tu sei in difficoltà, più la sua recita fila liscia.

Dove sta la via d'uscita? È fondamentale affidarsi a un supporto esterno, e non parlo solo del barista di cui sopra. Servono amici, familiari, magari uno psicoterapeuta che sappia cosa significa "abuso relazionale". Spesso fare un bel reset delle tue memorie, scrivendo su un diario o anche solo raccontando a qualcuno di cui ti fidi quello che succede, aiuta a vedere che non sei tu l'incarnazione vivente della svista. In termini tecnici, l'analisi riflessiva dei pattern comunicativi permette di smascherare la finta realtà che l'altro ti sta propinando. Se lui dice che hai urlato, ma tu avevi la tosse, e la settimana dopo afferma che hai rotto un piatto che nemmeno hai toccato, ti rendi conto che la partita non è più tra due visioni diverse dei fatti, ma tra chi racconta frottole e chi si impegna a uscirne indenne.

A livello accademico, l'interesse per il gaslighting è cresciuto perché è un colpo basso che fa parte della grande famiglia della violenza psicologica. Di solito si studiano i fattori di vulnerabilità, tra cui una bassa autostima e una predisposizione a fidarsi eccessivamente dell'altro. La letteratura specializzata sottolinea l'importanza della sensibilizzazione culturale per riconoscere più in fretta le strategie manipolatorie: se non sai che esiste questo trucchetto di prestigio, continui a guardare la colomba che vola e non capisci come ti sparisce il portafogli dalla tasca.

Tirando le somme, lo show del gaslighting funziona finché gli spettatori – cioè le vittime – pensano di avere le traveggole e smettono di credere in ciò che vedono o sentono. Lo studio approfondito di queste dinamiche e la messa a punto di strategie cliniche e sociali diventano allora un biglietto di uscita dal circo, in cui ognuno ritrova il suo posto con dignità e verifica i fatti senza lasciare che un abile manipolatore decida cos'è vero e cos'è falso. E se qualcuno ti prepara un frappè al pomodoro quando hai chiesto un caffè, ricordati di dare un'occhiata allo scontrino: chiaro esempio di "il problema non sono io, ma tu che stai barando".